Joseph Sandler, morto prematuramente nel 1998, pur essendo stato un fine ricercatore ed innovatore nella teoria e nella pratica clinica psicoanalitica, non ha mai ceduto alla tentazione di fondare una nuova scuola sua propria, pur avendo a disposizione tutti gli attributi di conoscenza e d’innovazione per procedere in tale direzione: il suo intendimento principale è stato sempre quello di conciliare e integrare le varie e diversificate impostazioni concettuali piuttosto che di contrapporle tra loro o di contrapporre ad esse le proprie.
Una posizione concettuale innovativa, sia in ordine allo sviluppo del pensiero psicoanalitico in generale, che rispetto alle sue applicazioni nello specifico campo della psicoterapia clinica. Una posizione significativamente definita “quiet revolution” (Ogden, 1992, A. Cooper, 2005), intorno alla quale si sono in particolare sviluppati il confronto, gli approfondimenti e le applicazioni di Paolo Coen Pirani, Milton Monteverde, Giovanni Pieralisi, Paolo Saccani ed Enrico Toselli del Centro Studi di Psicoterapia di Via Ariosto, 6 a Milano (dal 1980 al 1998 circa).
Il cardine del pensiero psicoanalitico di Joseph ed Anne Marie Sandler si situa nel concetto di mondo rappresentazionale elaborato da Joseph Sandler insieme con Bernard Rosenblatt a partire dal 1962, con il lavoro sui sentimenti di sicurezza (1960) e completato con il “modello delle tre scatole” (three-box model) del 1994, rifinito successivamente nei pochi anni precedenti la troppo precoce scomparsa di Joseph Sandler stesso, nell’autunno 1998. All’interno di questi due poli di sviluppo troviamo i concetti teorico-clinici ed applicativi ed insieme di evoluzione della teoria della tecnica psicoanalitica (attualizzazione e rispondenza di ruolo, relazioni d’oggetto interne, identificazione proiettiva, transfert e controtransfert ecc. ecc.).
Come ha sintetizzato felicemente Peter Fonagy (2005), “Sandler ha sviluppato una psicologia dei sentimenti, delle rappresentazioni interne e dell’adattamento che si lega in modo stretto alle condotte della coppia analitica nella situazione analitica”, mentre Otto Kernberg (2005) sottolinea come “Sandler ha descritto la rispondenza di ruolo dell’analista nella situazione psicoanalitica come una reazione controtransferale specifica che facilita l’analisi della relazione d’oggetto attivata nel transfert (…)”.
Oltre agli ambiti della psicoterapia individuale degli adulti e dei bambini, i concetti sandleriani hanno trovato applicazioni cliniche anche in due settori rilevanti come la psicoterapia psicoanalitica della coppia e della famiglia e la psicoterapia psicoanalitica di gruppo. Paolo Saccani, all’interno del Centro Studi di Via Ariosto a Milano, ha sviluppato l’intuizione di Sandler (1976) che considera l’interazione tra paziente ed analista come “in gran parte sebbene non interamente, determinata da ciò che chiamerò relazione di ruolo intrapsichica che ciascun partner tenta di imporre all’altro….. processo che avviene….nelle normali relazioni oggettuali e anche nei processi di scelta temporanea o permanente dell’oggetto” aprendo così la strada ad una tecnica di psicoterapia familiare orientata psicodinamicamente, che si muove secondo una linea di confine, non ignorando le tecniche cosiddette ‘direttive’ elaborate e giustificate in contesti diversi da quello psicoanalitico e cercando di definire ‘il quando, il come, il perché’ sembra più vantaggioso utilizzare una tecnica anziché un’altra (interpretazioni transferali e dei transferts laterali fra i membri della famiglia, oppure interventi direttivi, paradossali, ecc.).
Giovanni Pieralisi, sempre all’interno del Centro Studi di Via Ariosto a Milano, ha sviluppato l’estensione alla psicoterapia di gruppo dei concetti sandleriani, che si riferiscono al conflitto psicologico e alle varie tipologie concettuali di identificazione, compresa specialmente l’identificazione proiettiva fino ad arrivare ad una definizione operativa del concetto di “fenomeno dell’eco” così come è stato chiamato da Joseph Sandler stesso l’echeggiare interattivo che, ad un livello descrittivamente inconscio, determina nel gruppo il fluire del processo di gruppo stesso.
Il modello “a tre scatole” prevede tre contenitori o meglio tre livelli di analisi.
Nella prima scatola, l’inconscio passato ha un contenuto orientato soltanto al passato e rappresenta il bambino dentro l’adulto. Esso si situa fuori del campo esperienziale; è primitivo, ma non si limita alle pulsioni. Consiste di fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di soluzione di problemi. I desideri che provengono dalla prima scatola sono perentori e diretti alla ricerca di soddisfacimento nell’ottica esclusiva del passato. Una prima censura, tra prima e seconda scatola, è concepita come analoga alla barriera repressiva di Freud.
Nella seconda scatola, l’inconscio presente ha un contenuto orientato al presente. Contiene anch’essa fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di soluzione di problemi, ma tali fantasie qui sono sotto l’influenza delle richieste del presente, non più solo nell’ottica esclusiva del passato. Il confine tra inconscio passato e inconscio presente è regolato da affetti di pericolo e dolore, che sono stati associati alla repressione e allo splitting e che richiedono quindi modifiche delle fantasie proprie dell’inconscio passato che le rendano idonee all’inconscio presente. Nella situazione clinica, modifiche di tal genere sono esplicitate attraverso il transfert. La seconda censura, tra seconda e terza scatola, è essenzialmente devoluta ad evitare sentimenti di vergogna, imbarazzo o umiliazione.
Nella terza scatola, la coscienza si situa e si apre nel mondo esterno, rendendo i propri confini permeabili (verso l’esterno).
Dal modello così brevissimamente riassunto emergono almeno due aspetti clinici particolarmente importanti, che da un lato illuminano la vocazione psicoterapeutica, dall’altro orientano la ricerca in un sistema concettuale pur articolato e complesso:
1. il contenuto della prima scatola, del tutto inaccessibile alla coscienza, perché al di fuori del campo esperienziale, è immodificabile per via diretta; esso può essere modificato invece in via indiretta, per quel tanto che la psiche adulta adatta i derivati dell’inconscio passato nell’inconscio presente;
2. di conseguenza, il materiale nella seconda scatola può essere reso appropriatamente accessibile, a patto e nella misura in cui il terapeuta riesca ad aiutare il paziente ad oltrepassare la seconda censura, mettendo a disposizione un’atmosfera di tolleranza, accettazione e benevolenza che indebolisca l’inibizione costruita sui sentimenti d’imbarazzo, di vergogna e di umiliazione.
Joseph Sandler ha sempre sottolineato con forza, nel suo insegnamento, la parte giocata dai sentimenti di benessere e sicurezza nella regolazione dei meccanismi di funzionamento mentale. Ogni individuo costruisce i suoi specifici mezzi di confronto con le minacce costituite dalla perdita della speranza, al fine di mantenere dei sentimenti di sicurezza adeguati. In quest’ottica quindi le manifestazioni sintomatiche possono essere intese come tentativi individuali di procurarsi uno scudo protettivo allo scopo di mantenere un’esperienza di equilibrio psichico; è quando un lavoro di tal genere fallisce che il paziente viene spinto alla terapia.
Di conseguenza, lo scopo del trattamento psicoterapeutico psicoanalitico è, per Sandler, di aiutare i pazienti ad accettare ciò ch’è in prima istanza inaccettabile, le parti infantili che hanno fatto insorgere conflitti dolorosi. Si tratta di una impostazione che ha una posizione centrale nell’attività di insegnamento e supervisione: “…non tutti gli analisti potrebbero completamente condividere le affermazioni di Freud che l’analisi aspira a rendere conscio l’inconscio o a rimpiazzare l’Es con l’Io. La nostra opinione, forse piuttosto idiosincratica, è stata esposta come segue: l’analista mira ad aiutare il paziente ad accettare, alla fine del processo analitico, i suoi aspetti di desiderio infantile che hanno suscitato conflitti dolorosi e che sono diventati una minaccia nel corso del suo sviluppo. L’analista dunque persegue l’obiettivo di condurre il paziente a tollerare i derivati di queste parti di sé che sono presenti nel suo pensiero e nelle sue fantasie consce. Per dirla in un altro modo, lo scopo analitico fondamentale è condurre il paziente a “diventare amico” delle parti precedentemente inaccettabili di sé stesso e a convivere con le fantasie e i desideri in precedenza minacciosi. Fare ciò significa che l’analista deve procurare, per mezzo delle sue interpretazioni e del modo in cui le porge, un’atmosfera di tolleranza verso tutto ciò che è infantile, perverso e ridicolo, un’atmosfera che il paziente può rendere parte del suo proprio atteggiamento nei confronti di sé stesso e che può internalizzare unitamente alla comprensione che ha raggiunto nel suo lavoro con l’analista” (Joseph ed Anne Marie Sandler, 1984).
Negli ultimi venti anni dalla scomparsa di Joseph Sandler (1998) è proseguito il lavoro di approfondimento del suo pensiero e la nostra Scuola ha fatto la sua parte in questo lavoro come del resto hanno fatto i colleghi formatisi con lui soprattutto presso il Centro Studi di Via Ariosto a Milano. La nostra Scuola in particolare ha cercato e cerca tuttora di completare la transizione, già secondo noi chiaramente individuata da Joseph Sandler stesso, da una psicoanalisi intesa come psicologia generale basata sul conflitto intrapsichico e relativi derivati ad una psicoanalisi come psicologia generale basata sulle relazioni d’oggetto interne ed esterne e quindi anche interpersonali. Il lavoro di approfondimento ha riguardato e riguarda tuttora concetti teorico-clinici quali la relazione d’oggetto interna e il suo riferimento interpersonale come relazione di ruolo, l’attualizzazione, la ricerca dell’ identità di percezione, l’ identificazione proiettiva nei suoi due aspetti di semplice meccanismo di difesa da un lato e di importante strumento interattivo a livello interpersonale dall’altro, con i relativi risvolti e collegamenti con i fondamentali concetti di transfert e controtransfert, la messa in scena o enactment.
Questo è l’attuale check point della nostra Scuola dove l’attività di studio, approfondimento e ricerca si coniuga con la didattica rivolta agli allievi e riscontrata nell’analisi e discussione della casistica clinica.
Riferimenti Bibliografici
Cooper, A.M. (2005), The Representational World and Affect., Psychoanal.Inq., 25:196-206
Fonagy, P. (2005), An Overview of Joseph Sandler’s Key Contributions to Theoretical and Clinical Psychoanalysis., Psychoanal. Inq., 25:120-147
Kernberg, O.F. (2005), The Influence of Joseph Sandler’s Work on Contemporary Psychoanalysis., Psychoanal. Inq., 25:173-183
Ogden, T.H. (1992), The dialectically constituded decentred subject of psychoanalysis, II: The contribution of Klein and Winnicott., Internat. J. Psycho-Anal., 73:613-626
Pieralisi, G. (2007), Elementi di psicoterapia psicoanalitica di gruppo., www.amazon.com
Saccani, P. (2005), Presentazione., www.associazionepaolosaccani.it
Sandler, J. (1960), The Background of Safety., Internat. J. Psycho-Anal., 41:352-356)
Sandler, J., Rosenblatt B. (1962), The Concept of the Representational World,, Psychoanal. St. Child, 17:128-145
Sandler,J. (1976), Countertransference and role responsiveness., Internat. Rev. Psycho-Anal., 3:43-47
Sandler, J. (1976), Actualization and object relationships., J. Phil.Assoc. Psychoanal., vol.III, n.3, 59-70
Sandler, J. (1983), Reflections on Some Relations Between Psychoanalytic Concepts and Psychoanalytic Practice., Int. J. Psycho-Anal., 64:35-45
Sandler, J., Sandler, A.-M. (1984), The Past Unconscious, the Present Unconscious, and Interpretation of the Transference., Psychoanal. Inq., 4:367-399
Sandler, J., Sandler, A.-M. (1994), The Past Unconscious and the Present Unconscious: A Contribution to a Technical Frame of Reference., Psychoanal. St. Child, 49:278-292